Abstract
Con il termine di pax mongolica si indica quel breve periodo di circa un secolo (fra il 1245 e il 1345), durante il quale i collegamenti tra le estremità’ del continente eurasiatico furono facilitati dalla potenza mongola, che aveva assoggettato l’Asia Orientale e Centrale, giungendo infine a controllare le steppe russe e (sia pur per breve tempo) una parte dell’Europa Centrale.
Quest’epoca fu ricca di contatti tra Occidente e Oriente: nella storia multiforme di tali incontri, la figura e le vicende di Giovanni da Montecorvino (1247–1328) occupano certo un posto peculiare.
Paradossalmente, il mondo accademico si è interessato a fr. Giovanni e alla sua fondamentale attività missionaria in Asia Orientale soltanto nel Ventesimo secolo.Le fonti sono peraltro molto avare di notizie, se non contraddittorie: ad esempio, non si è ancora certi sull’identificazione del suo luogo di nascita, e una breve nota di Giovanni di Marignolli nel suo Chronicon Bohemicum, che lo descrive miles, iudex et doctor.
All’inizio degli anni Ottanta del XIII secolo, fra Giovanni si recò nelle missioni di Armenia e Persia, dove dovette assumere un ruolo non secondario, tanto che nel 1289 il re d’Armenia Aitone II lo inviò come proprio ambasciatore presso il Papa Niccolò IV, per informare la Santa Sede sui pericoli che il regno armeno stava correndo a causa dei Mamelucchi.
Niccolò IV decise di inviare Giovanni da Montecorvino in Oriente, con 27 epistole ufficiali destinate ai sovrani di Persia, di Armenia, di Georgia e al Gran Khan Qubilai, nonché ai patriarchi nestoriani.
Il Nestorianesimo era una corrente dottrinale cristiana estremamente diffusa in Oriente, i cui primi missionari erano giunti in Cina e in Tibet già nel settimo secolo.
Parliamo di alcune lettere del Montecorvinate: in effetti, ci restano tre missive, la prima delle quali è forse una resa in volgare medievale opera di frate Menentillo da Spoleto; l’originale latino fu probabilmente composto da fra Giovanni nel biennio 1291–92, durante la sua permanenza in India.Le altre due epistole, indirizzate rispettivamente ai confratelli dimoranti in Gazaria (l’attuale regione della Crimea) e ai frati della Provincia di Persia, furono scritte l’8 gennaio del 1305 e il 13 febbraio 1306 a Khanbaliq. La terza lettera è indubbiamente molto importante, soprattutto perché fu la sua consegna al Papa Clemente V a determinare l’invio di sette vescovi nel settembre 1307.
Nel 1310 fr. Giovanni diventò primo vescovo in terra cinese ricevendo il titolo di Arcivescovo di Khanbaliq (Pechino) e di Patriarca di tutto impero tartaro. Per ben 34 anni, dal 1294 al 1328, esercitava la sua missione, incontrando molteplici e immaginabili difficoltà ma anche notevoli apprezzamenti da parte della popolazione, specialmente di quella più povera e abbandonata, al cui servizio fr. Giovanni spende la maggior parte delle sue energie. Alla sua morte, la presenza francescana in Cina entra in un graduale declino, favorito dagli eventi storici. La situazione dei cristiani i Cina diventa sempre più drammatica quando, caduta la dinastia mongola, subentra quella cinese dei Ming che chiude il Paese a qualsiasi infiltrazione esterna fino al XVI secolo. Le tracie cristiane vanno così perdersi, ad eccezione di alcune piccole comunità che, rifugiatesi nell’estrema provincia di Ahang-Tung e nella regione Uen-Touncou, conservano e trasmettono la fede di generazione in generazione.
Primo Sinodo della Chiesa Cinese nel 1924, la consacrazione nel 1926 dei primi sei vescovi cinesi, e nel 1928, in occasione del 600o anniversario della morte di fr. Giovanni da Montecorvino, la lettera apostolica del Papa Pio XI seguita dalla lettera del Generale dei Frati Minori, P. Bonaventura Marroni, a tutta la famiglia francescana, segnano l’inizio di una nuova fase di evangelizzazione francescana che vede tra i protagonisti beato fr. Gabriele M. Allegra, intenzionato a ripercorrere le orme del primo vescovo della Cina.
Con l’istituzione della Repubblica Popolare Cinese si apre l’oscuro periodo della grande tragedia della nazione cinese e dei cristiani, compreso i missionari che vengono allontanati, incarcerati e uccisi. Lo scopo delle autorità comuniste di staccare la Chiesa cattolica cinese dalla Chiesa Universale porta alla formazione dell’Associazione Patriotica dei Cattolici Cinesi, con proprie leggi e alla consacrazione dei vescovi senza l’approvazione del Vaticano, sollevando la reazione del Papa Pio XII e del suo successore Giovanni XXIII. Con Paolo VI prevale una linea più moderata per venire alla soluzione del problema in termini diplomatici. Giovanni Paolo II apre ancora di più sulla strada della reciproca comprensione e collaborazione. Con Benedetto XVI e Francesco si apre una nuova, anche se ancora molto difficile, epoca della Chiesa cinese.
Dopo tanti secoli dai lontani esordi di fr. Giovanni da Montecorvino, nella grande storia missionaria della Cina non si può e non si deve ancora scrivere la parola fine. Sicuramente altre sfide e altre prove aspettano chi si mette su quelle strade alla sequela di San Francesco, e i frutti verranno, perché la Cina è terra piena di vita.
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